È da quando ho cominciato a correre che ho sentito parlare di una corsa
“mitica”, tra la toscana e la romagna 100 km attraverso l’appennino.
L’appuntamento con la 100 km è arrivato quest’anno: ho prenotato il
pettorale della 100 km del passatore con 8 mesi di anticipo e ho fissato la data sul calendario, per obbligarmi a correrla anche se non fossi stato motivato.
Reduce da un infortunio che mi ha tenuto fermo durante l’inverno e non
avendo esperienza di come si prepara una gara così lunga, ho corso un
paio di lunghissimissimi: la maratona di Zurigo insieme a Presy
ed Alex, e la val d’Aosta da Aosta a Pre St Didier A/R lungo la statale
(60 km). Poi tante corse brevi di 7‐8 km cercando di correre spesso
(memore del racconto del papà del Presy che ha preparato la 100 km
andando a correre tutti i giorni 30‐60 minuti per un paio di mesi prima
della gara. E l’ultima settimana a concedersi tante goloserie, tanto brucerò tutto nei 100 km…
E così a fine aprile il tempo è arrivato. Niente compagni di viaggio in
quest’avventura. La partenza è in pieno centro a Firenze ed essere
arrivato un paio d’ore prima della partenza (prevista per le 15) da’
ampio margine.
Fa caldo, il sole splende ma soprattutto ci sono 2'400 iscritti! Non
immaginavo un numero così elevato di matti. Mentre mi siedo all’ombra in
prossimità della partenza ascolto i racconti di chi è alla sua ennesima
partecipazione. Sembra che chi l’ha fatta una volta ne diventi dipendente. Staremo a vedere.
La partenza è paesaggisticamente affascinante. Dopo pochi kilometri si
sale verso Fiesole, godendo della magnifica vista dal balcone di
Firenze. Poi la strada si snoda tra colline movimentate fino a Borgo San
Lorenzo. Sono 30 km che passo a 3h00’. Mi sento bene, ma è ancora
lunga.
Arrivo correndo fino al 42° kilometro, quando la strada comincia a
cambiare pendenza in quella che è la salita verso il passo della Colla,
il gran premio della montagna della corsa, che tra una salita e
l’atra implica 1000m di dislivello positivo, quasi tutti concentrati tra
il 42° e il 48° km. Lascio da parte le velleità podistiche e comincio a
marciare di passo spedito. Non ho davvero idea di cosa siano 100 km, ho
corso una maratona, ma me ne manca ancora una e mezzo… Mi immagino che
sia bene risparmiare le gambe. In mezzo a tutti questi ragionamenti, un
po’ appannati dalla fatica, comincia a insinuarsi il tarlo del “chi me
l’ha fatto fare”. La fatica che accumulo in salita mi fa meditare di ritirarmi dopo
il passo, faccio davvero fatica a pensare di poter correre ancora più
di metà della gara. Il caso vuole che chieda che ore sono a uno che come
me sta marciando e soffrendo la salita. E’ un bergamasco, lo riconosco
al volo dall’accento, e cominciamo a raccontarci un po’ della nostra
vita e delle nostre esperienze podistiche. Scatta nell’immediato quella
simpatia o ancor meglio empatia, nel senso letterale, che ci porterà quasi alla fine.
Non sono sicuro che se non avessi incontrato Manuel, sarei arrivato in
fondo alla gara. E di certo ci sarei arrivato molto più lentamente.
Stavo pagando a caro
prezzo la solitudine e l’idea di condividere la fatica è stata una
manna. È così che chiacchierando, dandoci consigli per le vacanze,
scoprendo che siamo quasi colleghi, i kilometri tra il passo della Colla
(48° - 5h30’) e Marradi (65° - 7h30’) volano senza che ce ne rendiamo
conto.
Quando però finisce la discesa le gambe richiamano il cervello
all’ordine. Sono stanche e correre in piano e falsopiano non è la stessa
cosa che correre in una dolce discesa. E’ così che cominciamo ad
alternare il passo – non appena c’è un minimo di pendenza positiva - e
la corsa – in piano e in discesa. Parliamo meno, anche perché i doloretti migranti cominciano a tiranneggiare
tra i miei pensieri. Credo praticamente di aver provato un dolore o un
fastidio in ogni singolo muscolo dall’anca alla punta dei piedi. La cosa
buona è che non duravano che cinque/dieci minuti in un punto specifico e
poi migravano. Un po’ ci mettevo del mio cercando di sconnettere la
testa dal copro: guardando il cielo stellato in una specie di trance. A
riportarmi alla realtà ci pensava il pensiero del “chi me l’ha fatto
fare” e anche un po’ di noia, perché dopo 8‐10 ore che corri, ne hai
abbastanza per quanto possa essere gratificante il pensiero di
“farcela”.
Attraverso il grazioso borghetto di Brisighella (88° - 10h30’) e uno
dei famosi dolori migranti comincia a cristallizzarsi e tormentare un
po’ la mia caviglia destra. Il mio compagno di viaggio ne ha ancora e ce
la può fare a finire sotto le 12 ore. Gli batto una mano sulla spalle e
gli do l’arrivederci alla fine. Per conto mio comincio a prendermela
con calma. Mi fermo in una tenda a farmi massaggiare la caviglia (ma
finisce che me la massaggio da solo per inesperienza delle volontarie –
pur molto carine). Sono quasi le tre di notte e mi raccontano che sono
il primo a fermarsi al massaggio del 95° km e che mi trovano bene,
mentre più avanti nella notte e al mattino arriveranno gli zombie,
ovvero podisti che camminano storti e gli si lasciano andare nella
tenda. Saluto i ragazzi e mi accingo a fare gli ultimi 5 km. La pausa mi
ha fatto bene e posso finire corricchiando in modo dignitoso, con lieve accelerazione al traguardo come il bon ton del podista esige.
Entro in piazza a Faenza in 12h23’ con una media di 7’26” sui 100 km. La felicità dell’avercela fatta è un attimo fugace, che si spegne presto nel cuore della notte, dove non c’è nessuno ad attenderti.
I 100 km sono una sfida con se stessi, un’esperienza che una volta nella vita può valere la pena affrontare.
Forse in montagna nelle ultra‐trail è diverso, li c’è il paesaggio a
coccolarti, ma su strada 100 km appartengono a una categoria di superuomini che
ammiro, ma da cui sono lontano. La fluidità della corsa viene meno dopo
kilometri e kilometri, snaturando quel gesto semplice che tanto amo.
Insomma, non sono entrato nel club di chi diventa dipendente da questo
genere di esperienze, ma son contento di averla fatta… una volta nella
vita.
Luis Huanca
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