Da quando ho messo da
parte velleità agonistiche, ho eletto la corsa a sana e fedele (più
di quanto io lo sia nei suoi confronti) compagna di vita e di viaggi.
Appassionato di viaggi,
sull’aereo appena ne ho l’occasione, ho fatto del correre un modo
privilegiato di esplorare i luoghi che visito. Magari mentre i miei
compagni di viaggio se la dormono fino a tardi, o per riempire la
noia del jet lag, o più semplicemente per gustarsi la brezza del
mattino, non c’è viaggio dove non mi sia portato un paio di fedeli
scarpette e qualche semplice indumento per onorare la mia passione.
Tra i miei
allenamenti/esplorazioni più belli ricordo: la costiera tra San
Diego e La Jolla, piena di surfisti e ville da favola; il mitico
Central Park di New York; le montagne della Nuova Zelanda, con
pascoli gravidi di ovini e bovini che mi lasciavano il passo; la
marina di Sidney, tra edifici resi famosi dalle olimpiadi; il lungo
lago di Chicago, con allenamento in parallelo ai marines e non da
ultimo il Golden Gate di San Francisco. Correre per le città fa
mettere da parte l’abito del turista e ti fa ambientare con
immediatezza nei panni di chi la città la vive davvero. Oltre a
moltiplicare le occasioni per scoprire angoli che al turista
tradizionale sfuggirebbero.
Nel mio ultimo viaggio in
Nepal ho scoperto che questo non vale solo in città, ma anche quando
si è immersi nella purezza della natura. Alle prese con un trekking
semplice, obiettivo un cinquemila - con Alex che si chiedeva se c’era
bisogno di andare fino in Nepal per correrne uno avendo confuso delle
mie parole l’asse orizzontale con l’asse verticale =) – ho
avuto modo di correre la più bella corsa della mia vita.
Il giorno di Natale era
previsto un giorno di riposo e acclimatamento: da 3500 a 3800 slm,
poche ore di cammino per prepararsi all’assalto allo Tsergo Ri, il
5000 slm del giorno dopo culmine del trekking della valle del
Langtang, a 60 km a nord di Katmandhu. I trekking in Nepal sono una...
Da quando ho messo da
parte velleità agonistiche, ho eletto la corsa a sana e fedele (più
di quanto io lo sia nei suoi confronti) compagna di vita e di viaggi.
Appassionato di viaggi,
sull’aereo appena ne ho l’occasione, ho fatto del correre un modo
privilegiato di esplorare i luoghi che visito. Magari mentre i miei
compagni di viaggio se la dormono fino a tardi, o per riempire la
noia del jet lag, o più semplicemente per gustarsi la brezza del
mattino, non c’è viaggio dove non mi sia portato un paio di fedeli
scarpette e qualche semplice indumento per onorare la mia passione.
Tra i miei
allenamenti/esplorazioni più belli ricordo: la costiera tra San
Diego e La Jolla, piena di surfisti e ville da favola; il mitico
Central Park di New York; le montagne della Nuova Zelanda, con
pascoli gravidi di ovini e bovini che mi lasciavano il passo; la
marina di Sidney, tra edifici resi famosi dalle olimpiadi; il lungo
lago di Chicago, con allenamento in parallelo ai marines e non da
ultimo il Golden Gate di San Francisco. Correre per le città fa
mettere da parte l’abito del turista e ti fa ambientare con
immediatezza nei panni di chi la città la vive davvero. Oltre a
moltiplicare le occasioni per scoprire angoli che al turista
tradizionale sfuggirebbero.
Nel mio ultimo viaggio in
Nepal ho scoperto che questo non vale solo in città, ma anche quando
si è immersi nella purezza della natura. Alle prese con un trekking
semplice, obiettivo un cinquemila - con Alex che si chiedeva se c’era
bisogno di andare fino in Nepal per correrne uno avendo confuso delle
mie parole l’asse orizzontale con l’asse verticale =) – ho
avuto modo di correre la più bella corsa della mia vita.
Il giorno di Natale era
previsto un giorno di riposo e acclimatamento: da 3500 a 3800 slm,
poche ore di cammino per prepararsi all’assalto allo Tsergo Ri, il
5000 slm del giorno dopo culmine del trekking della valle del
Langtang, a 60 km a nord di Katmandhu. I trekking in Nepal sono una
passeggiata a confronto anche solo del giro delle orobie. Ci sono
rifugi dove ristorarsi con un the, mangiare e si è stanchi dormire
ogni mezzora, massimo un’ora di cammino. Forse anche per questo con
un paio di compagni di viaggio abbiamo deciso che l’acclimatamento
era noioso e ci siamo inerpicati su per una cima di 4700 slm, il
Kynajin Ri che svetta sopra il villaggio di Kyanjin Gompa, ultimo
villaggio della valle. In Nepal ogni vetta è una scoperta, con
altari e bandiere di preghiera (quelle tutte colorate
buddiste/tibetane) a proteggere la vetta. Quando il resto del gruppo
decide di ripiegare verso il rifugio io penso che sia troppo presto
per non godermi la magnificenza dei ghiacciai ai piedi dei 7mila che
mi circondano e identifico un sentiero che fa il periplo delle
creste, declinando dolce fino a 4500 slm. Detto fatto, complice una
respirazione mai affannata, mi trovo a celebrare il natale correndo
qualche kilometro a 4500 slm, da un lato un baratro, dall’altro una
dolce salita e intorno uno degli spettacoli più belli che la natura
possa offrire.
La corsa termina su un
picco innominato, dove il vento ha avuto la meglio sulle bandiere di
preghiera. Per celebrare l’arrivo della mia corsa e onorare chi a
suo tempo si è caricato sulle spalle pali e preghiere, ripristino il
totem, rinforzo la base e mi assicuro che regga al soffio impetuoso
del vento. Un ultimo sguardo alle neve illuminata dai raggi del sole
che comincia a declinare e posso finalmente tagliare il traguardo del
mio ”miglior cinquemila”.
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