C’era però il duplice successo di aver corso gare mai corse, cioè da me effettuate per la prima unica volta e -non da meno- l’aver partecipato quest’anno alla nona edizione della nostra mezza sociale a Cremona
per la nona volta consecutiva.
Il ‘progetto’ era iniziato casualmente nelle gelide lande di
Monteforte d’Alpone (Verona) il 17 gennaio, quando mi ero unito ad un gruppo di podisti del Sabbio, società sportiva di cui sono da sempre medico sociale, e avevo corso con l’amico Pier Lucchini, ex ciclista professionista, nel contesto di una serie innumerevole di manifestazioni podistiche -un vero e proprio festival dell’amatore- la maratonina competitiva Demmy, dal tenero nomignolo e dal percorso più che ondulato, francamente collinare. Se amate però i grandi eventi, i grandi assembramenti e le atmosfere festose ve la consiglio: quest’anno si sono sfiorate le 25.000 presenze!
Una settimana dopo ero a
Casalbeltrame (Novara) per correre di mala voglia la maratonina di San Gaudenzio che un tempo veniva fatta a Novara e che ora è qui nelle campagne piatte, tra casolari e pozzanghere gelate, in un scenario tra i più tipici paesaggi padani invernali. La malavoglia battuta dall’affermazione invero un po’ categorica di Giacomo Bosio dei Runners Bergamo, giuntami all’orecchio durante il riscaldamento, secondo cui “nessuno ha voglia di correre, prima di correre”. A ben pensarci la frase ha una sua valenza, sicuramente psicologica ma forse anche ‘filosofica’: chi volesse preparare una mezza in pieno inverno e cercasse la prestazione può venire qui e verificare. Il percorso è veloce. Garantito!
Quattro settimane dopo correvo a
Vittuone (provincia di Milano) questa piattissima mezza del Castello (non ricordo però di aver visto castelli!?), ‘scoperta’ due anni fa da Vittorio Bresciani e ora abbellita da un curioso ponticello in legno, a pochi metri dall’arrivo, che per la verità c’entra poco ma dà un tocco di diversità a questa maratonina per il resto
piuttosto spartana e senza pretese. Soprattutto se confrontata con le due successive, corse nei mesi di marzo e aprile.
La prima è la
mezza del lago Maggiore, la più veloce su suolo italiano nel 2009, che ambiziosamente si firma LMHM e che ha la particolarità di
invertire ogni anno la direzione del percorso con l’arrivo che si alterna a Verbania o a Stresa. Piuttosto ondulata ma molto scorrevole, è ambita dai keniani e regala ai concorrenti bellissimi colpi d’occhio e un gratuito viaggio in traghetto che ti riporta alla partenza. Il ricordo per me di una bella trasferta con i colleghi Maurizio Mura e Ivan Corbetta. Consiglio veramente di andarci, anche con amici e parenti, per una splendida gita di inizio primavera.
L’altra è una novità assoluta 2010 ed è
la prima metà della ridisegnata maratona di Milano che a parere di tutti sembra aver trovato finalmente il proprio miglior percorso. Parte dalla fiera di Rho con la maratona, è velocissima (quasi si facesse sentire l’attrazione gravitazionale della metropoli vicina), e se ne separa alle porte per affondare direttamente nel cuore di Milano con arrivo in Piazza Castello. Vissuta in completa solitudine è stata la mia miglior prestazione dell’anno. Ma c’è un problema: la mezzamaratona non è ufficiale e rappresenta l’opzione dell’ultima ora o dell’ultimo minuto per coloro che per varie ragioni dovessero rinunciare alla maratona ripiegando sulla mezza. E infatti non c’è iscrizione separata dalla maratona e pertanto risulta carissima. Del resto a Milano c’è già una mezzamaratona importante, la seconda d’Italia per numero di iscritti dopo la Roma-Ostia, si chiama Stramilano e si corre proprio una o due settimane prima della maratona.
Giro di pista per Marco a Vigevano 2010
A maggio sono andato fino a Vercelli per la
Via Francigena Half Marathon, ancora con atleti del Sabbio. Mi sentivo preparato e avevo una gran voglia di correre ma per il gran caldo le prestazioni sono crollate e per difetti organizzativi la misurazione è risultata essere di ben mezzo km in più: non è stato molto divertente! E poi sono inspiegabilmente saltato con quella sensazione di “annaspare” che ho allora attribuito alle avverse condizioni climatiche. Sicuramente la blasonata via Francigena meriterebbe una prova d’appello ma io non penso che ci tornerò presto. Perché diciamolo: c’è una tale scelta di mezzemaratone che uno può evitare di ripetere la stessa per molti anni di seguito…io penso che farò così!
C’è un periodo però nel calendario podistico in cui succede qualcosa che contrasta decisamente questa affermazione. Nel periodo estivo, in cui esplode la pista, la montagna, il fuori-strada, le ultra e la corsa su strada si spinge nei vari circuiti regionali al massimo fino ai 10000 metri, tutto si può fare tranne che maratonine. Sembra proprio che l’interesse per questa distanza sia assolutamente inconcepibili nei mesi caldi. Anche per la maratona è così -si potrebbe obbiettare- eppure di maratone, soprattutto in contesti montani e di villeggiatura o nella declinazione eco, qualcuna se ne trova d’estate. Ma di mezze neanche l’ombra! La spiegazione sta nel fatto che l’impegno fisico e mentale di una mezzamaratona è così ‘al limite‘,che si cercano almeno le condizioni climatiche ideali per metterlo in campo.
Capacità aerobica e sole nel leone non vanno molto d’accordo!
Poi quasi di colpo a settembre ecco riapparire la fioritura di scelte. Tra le prime quest’anno una novità intrigante era costituita dalla prima edizione a Senago (ancora in provincia di Milano) della
Mezza delle Groane, nell’omonimo parco a nord-ovest della città. Anche lì sono andato, ansioso di verificare la condizione di fine estate. Ma anche qui
cedevo al caldo e alla stanchezza, interrompendo l’impegno poco oltre la metà gara in ‘dolce compagnia’ di Vittorio che dal canto suo mollava anche prima. Sinceramente il parco delle Groane non mi ha ammaliato per bellezza ma è doveroso un ulteriore sopraluogo: è vicino, è una novità ed è una alternativa alle solite Castel Rozzone o Parma dello stesso periodo. Andateci.
Mantova invece mi è proprio piaciuta: la città è bella, la maratonina anche. Il clima ideale,
la stimolante compagnia di Guido, Diego, Isa e Matteo che
rappresentano attualmente la linfa vitale della squadra (il Presistrello ha bisogno ogni tanto di sangue fresco!), il percorso molto scorrevole e, nell’allestimento, quel sapore di giostra medievale hanno dato alla trasferta un tocco memorabile.
Poi c’è stata
Cremona. Tutto quello che c’è da dire, l’ho già detto e ridetto:
non è la più piatta ma è sempre la più veloce! Rappresenta un po’ quello che Reggio è per la maratona: quelle continue leggere ‘ondulature’ ti fanno utilizzare le gambe così completamente, con quei lievi falsopiani che ti rilanciano di continuo, che ecco anche quest’anno la pioggia di personali. Fin dal lontano 2002 i medirrunniti venivano qui per battere i propri primati e anch’io vi ho sempre realizzato la miglior prestazione stagionale, fino al 2006 anno in cui con il mio miglior tempo di sempre sulla mezza vinsi la gara sociale. Nel 2010 io e Luis Huanca ci siamo sbizzarriti a correrla in progressione ed è stato veramente divertente negli ultimi chilometri ‘raccogliere cadaveri’…la vigliaccata era stata partire a un ritmo ben sotto le nostre possibilità ma -si sa- ci si abitua ad ingannare se stessi e ci si accontenta di poco!
Nel mese di novembre le ultime tre: troppe? Lo so, eccome!
La prima a
Busto Arsizio (Varese), sotto una pioggia battente, era quello che chiamo un ‘battesimo‘. Accompagnavo
l’esordiente-medirun Filippo Marchesi alla sua prima mezza facendogli da padrino, affiancandolo per tutto il percorso e adeguandomi alle inevitabili variazioni di ritmo del principiante con la ‘superiorità’ dell’amatore evoluto. Ciò nonostante il Nostro, che non aveva mai corso una ventunchilometri ma che ha dei
trascorsi discreti nella corsa in montagna, si produceva negli ultimi km in una tale
progressione, con le sue fibre veloci di crossista avvezzo alla competizione, da procurarmi, per cercare di tenergli il passo fino alla fine, violenti conati di vomito prontamente immortalati dalla foto sul traguardo. Niente di che: chi è del mestiere sa che è normale quando hai abbondantemente superato la tua soglia e il tuo corpo genera un potente stimolo vagale, il vomito appunto, nel tentativo eroico di abbassare la frequenza cardiaca. Infatti il mio cardio aveva onestamente registrato negli ultimi 97 metri di gara
186 battiti al minuto, valore -devo riconoscerlo- un po’ altino per la mia anagrafe ma a cui sono abituato, sebbene confrontandomi con i coetanei mi sia sempre sentito una mosca bianca …dalla frequenza troppo alta. Vero è che la frequenza cardiaca massima scende con l’età (che sia rimasto biologicamente giovane?), quando si è molto stanchi e con il grado di allenamento (tanto più un atleta sta entrando in forma tanto più la sua fc si abbassa, a parità di velocità) ma è pur vero che ognuno ha la sua e non può farci niente. Ed io nei lavori veloci supero regolarmente i180 battiti al minuto.
A questo punto per farvi capire devo entrare un po’ nell’intimità del mio corpo. Non pretendo di affermare certezze scientifiche ma…penso di avere un
‘cuore piccolo’. No, niente di patologico, intendo dire solo una
’bassa cilindrata’ (il contrario di Coppi, per capirsi!) e per mandare ai muscoli una quantità idonea di sangue il mio cuore deve produrre un numero di pulsazioni al minuto mediamente più alto. La teoria non fa una piega ma veniamo ai fatti.
Il 21 novembre ho corso a
Crema l’ennesima ventunchilometri.
Stavo bene, avevo impostato un ritmo gara per sfiorare l’ora e 36 (quello era in quel periodo il mio valore in mezza) ma ad ogni km vedevo che i passaggi erano sempre di
alcuni secondi più veloci senza che ne soffrissi particolarmente e allora, giunto al 18° km, decidevo di
incrementare ulteriormente il ritmo per chiudere in crescendo magari di un paio di minuti sotto il previsto.
Abbasso la testa e spingo. Dopo poche centinaia di metri controllo il cardio, la frequenza è 177 e le gambe girano. Tutto sembra procedere bene poi improvvisamente non ho più fiato, annaspo; nessun dolore ma un senso di
infinita stanchezza mi invade al punto che mi sdraierei volentieri sulla strada bagnata e mi lascerei andare all’oblio e al sonno, un senso di torpore mi sale fino alla nuca e le gambe, le gambe sono diventate pesantissime.
Rallento vistosamente, guardo la frequenza cardiaca: è 90!!! Mi preoccupo un po’ ma concludo la gara
trascinandomi faticosamente fino al traguardo, perdendo più di due minuti in meno di tre km.
Cosa è successo? Forse è il cardiofrequenzimetro? In circa dieci anni di corsa ne ho cambiati diversi e già altre volte ho visto questa stranezza ma ho sempre pensato che fosse l’apparecchio guasto. Ma il mio Garmin Forerunner 405 non sbaglia: non mi ha mai tradito e non ha nemmeno le batterie scariche! Stavolta l’ho beccata la ‘scoppiatura‘, l’ho documentata con tanto di registrazione, stavolta è lì da vedere.
Marco e Filippo a Busto Arsizio 2010
Nooooooo, non ci credo, non ci posso credere! Devo riprovare, devo verificare. Quale miglior occasione della
Mezza di Padenghe la settimana dopo. E anche se non ne ho voglia e non sto bene ci vado lo stesso. Si parte in salita e già non è propriamente un santo di mia devozione, poi piove a dirotto e ho freddo ma il simpatico Simone Galimberti mi è accanto e impostiamo un ritmo relativamente tranquillo. Ciò nonostante mi accorgo presto che le cose non vanno, lascio andare Simone e procedo con prudenza controllando spesso il polso poi, sull’ennesima salitina,
mi ricapita. Frequenza: 88! No, mer.., ancora! Stavolta mi spavento davvero e
cammino. Concludo in qualche modo perché in una mezza -come sapete- è di fatto impossibile ritirarsi.
Paura, delusione, rabbia. Dolorosa
consapevolezza di aver raggiunto i limiti. Come farò a spingere in una gara con questo handicap che può arrivare in ogni momento senza preavviso? che senso avrà fare le ripetute per migliorare la velocità? e soprattutto chi ne avrà più voglia? Se sai di non poter contare sull’integrità del tuo organismo, cosa resta del piacere adrenalinico di correre?
Il giorno dopo chiamo Carlo
Savasta. Il gentile cardiologo e atleta medirun (che ringrazio), consultato anche un aritmologo, mi spiega bonariamente che si tratta di un blocco atrio-ventricolare. Nel mio caso sembrerebbe del tutto benigno, una manifestazione para-fisiologica definita con l’altisonante nome di
’fenomeno di Wenckebach’, con funzione di cardioprotezione. Per farla semplice: il muscolo cardiaco quando sta lavorando a frequenze molto alte e per qualche motivo non ne ha più voglia,
dimezza la propria frequenza (180:2= 90) facendo arrivare poca ’benzina’ (sangue) ai muscoli, costringendoti così a rallentare e ad abbassare la frequenza. L’avevo studiato a Medicina ma non pensavo che un giorno la cosa mi avrebbe riguardato. Del resto non si pensa mai che qualcosa di antipatico possa riguardare proprio te. Bella fregatura!
A parte il ridimensionamento delle eventuali velleità agonistiche -se mai ne avessi ancora- perché sono convinto che a un campione queste cose non capitano, e per campione intendo anche solo uno che vince la propria categoria; a parte che l’idea di poterlo attribuire all’età mi fa proprio girare le palle, e vi giuro che
non mi nasconderò dietro questo facile alibi; a parte che probabilmente ero molto stanco e 13 mezze all’anno sono troppe…a parte tutto questo, volete sapere cosa penso? Penso di aver casualmente documentato con l’ausilio della tecnologia la crisi, il
muro in mezzamaratona, ovvero quello che succede quando uno ‘salta’ in una competizione in cui tutto si gioca sulla ‘capacità aerobica’ cioè sulla capacità di correre a lungo a velocità elevata. E’ questo che penso! Punto.
Amo i documentari del National Geographic. Oltre a quelli sull’universo e sulle stelle, seguo a volte quelli ambientati in Africa sugli animali feroci e le loro prede. Questi ultimi mi affascinano quando, con lunghe sequenze al teleobiettivo, riprendono le corse incessanti tra i predatori, in genere leonesse o ghepardi, e le loro vittime, spesso antilopi o gazzelle. Ultimamente vengono anche mostrate le sequenze piuttosto scabrose della cattura di una preda ad opera del suo inseguitore, che un tempo era difficile riprendere o che forse io stesso evitavo di vedere perché le ritenevo
raccapriccianti. Oggi le guardo attentamente, credetemi non è sadismo o contemplazione della morte…
è solo la vita quotidiana della savana. Ebbene, quando l’attacco va a buon fine, il che avviene mediamente una volta su dieci, e l’antilope sfiancata dalla corsa non ce la fa più e viene raggiunta dalla leonessa che non ce la fa più ma che subito affonda le fauci nella carne della poveretta,
per qualche istante tutto si ferma in un inspiegabile fermo-immagine che congela i corpi dei due contendenti. E tutto si ferma per la semplice ragione che l’imperativo è per entrambi
‘riprendere fiato‘.
E nello sguardo della vittima non vedo l’orrore o la terrificante consapevolezza che è finita e che tra pochi istanti inizierà il supplizio macabro di essere mangiato vivo. Niente di tutto questo ci vedo ma solo la
disarmata rassegnazione di un agonista battuto, l’ipnotico sfinimento di chi ha dato tutto e non ce l'ha fatta. E ripenso alle mie ultime crisi nelle mezze, a quella sensazione di non ‘averne più’, a quella stanchezza infinita, alla voglia di lasciarsi andare e soccombere.
Lasciatemelo dire: se penso a quella sensazione di spegnimento provata di recente, ammaliante come la morte, io penso all’antilope e alla sua misera fine. E a come è diversa la nostra vita -non dico più facile, soltanto un po’ più sicura- e a come per contro ci piaccia
sfidare i nostri limiti, giocare a oltrepassarli spingendoci sempre un pizzico oltre.
E lasciatemelo dire con l’immediatezza che ha il pensiero o il sogno, lasciatemelo dire nel lessico sgangherato della paura, lasciatemi usare l’indicativo imperfetto…
Perché io penso:
“Se ero un’antilope ero morto!”