È già passata agli archivi la ventinovesima edizione della 24
Ore di
Ciserano e noi c’eravamo, ci siamo stati da protagonisti.
Medirun Cus Bergamo è “medaglia di cartone”, anche se, per 23 ore
abbiamo cullato il sogno di indossare quella di bronzo e in alcune
frazioni persino l’argento.
Chi scrive ritiene di riassumere la nostra partecipazione alle kermesse
appena conclusa come un successo, questo non per cercare di
addolcire quel pizzico di amaro in bocca che il risultato sportivo ci ha
lasciato. Sostengo le ragioni della mia affermazione analizzando
l’impresa da altri punti di vista, che per alcuni possono essere
aspetti secondari, minori rispetto alla classifica che non lascia
margini di interpretazione ma che a parer mio celano significati
importanti per chi come me intende la corsa non solo dal suo mero
aspetto agonistico-prestazionale.
Se da un lato delude il terzo posto scivolato via in zona
Cesarini, che
indubbiamente avrebbe dato più lustro ai nostri colori sociali,
dall’altro il quarto posto ci da chiare indicazioni circa il potenziale
della squadra, motiva e perché no rinnova la sfida
per il prossimo anno. Eh già, perché erano sei anni, tanti, forse troppi
che la squadra mancava all’appuntamento.
Proverò a descrivere queste due giornate partendo dal titolo impostomi
dal Presi: “farina del mio sacco”. Probabilmente era colpito
dallo spirito che si stava vivendo in quegli ultimi istanti in cui la
stanchezza si intrecciava alla speranza, la delusione alla
soddisfazione
consapevoli di avere dato tutto noi stessi, atleti, cambusieri,
supporters compresi; stavolta con una sola grande differenza, tutti
tesserati Medirun.
Personalmente a fianco degli atleti ho respirato un clima sereno e
gioviale che sul campo si trasformava in determinazione e rabbia
agonistica.
Non sono un sadico ma sinceramente era esaltante per me vedere
quei volti sofferenti deformarsi sotto i colpi inevitabili della fatica
che aumentava in maniera esponenziale chilometro dopo chilometro; oppure
commovente assistere a frazioni in cui era importante stringere i
denti per perdere il meno possibile contro un avversario più forte che
recuperava lo svantaggio ad ogni giro ed infine avvincente quando
si è trattato di tirare fuori gli artigli insieme alle ultime scorte di glicogeno scovate chissà dove. Bisognava mordere e cacciare la preda in
difficoltà a volte per recuperare il gap altre per allungare
sull’avversario.
HIC SUNT LEONES!
È la frase che balenava nella mia testa già da sabato pomeriggio dopo
una chiacchierata con Oriana, neo Medirun, cambusiera ed insegnante di
latino. Per me poteva essere il titolo perfetto.
Dodici leoni che fino alla fine hanno combattuto in un’arena
sportiva contro avversari di tutto rispetto, onorando la maglia
che, seppur in divise spaiate, tutti hanno voluto indossare compreso chi
ne era sprovvisto. Attendiamo a breve l’arrivo dei nuovi capi, lo
“Smanicato” è avvisato…
Il 'puma' Guido Questo è l’atteggiamento mentale vincente, è lo spirito di
squadra che fa la differenza, come un circolo virtuoso hanno
contagiato tutti e a tutti i livelli. Si è creato un clima di condivisione
che come in un macchinario perfetto tutti gli ingranaggi girano
sincronizzati. Dai box, come in Formula 1, ad ogni passaggio partivano
informazioni riguardanti tempi, distacchi, posizioni e difficoltà degli
avversari. Risuonano ancora nelle mie orecchie parole come: la maglia
verde, il pettorale numero 2...
Da atleta “frustrato” per l’impossibilità di far parte di quella “sporca
dozzina” lo spirito e la dedizione messa in campo dal resto
della squadra mi ha contagiato positivamente facendomi dimenticare
definitivamente certe amarezze. Assieme a Rienzo, con il quale ho
condiviso moltissime ore a stretto contatto, ci siamo immolati per la
causa in un ruolo, si secondario, ma altrettanto essenziale ed attivo di
supporto tecnico e logistico. Lo sfinimento finale di entrambi
la dice lunga circa le energie spese!
Alla fine, chi c’era l’avrà di certo notato, eravamo tutti lì in gruppo,
a tifare e sostenere i neo medirunnini Matteo ed
Isabella, come del resto Sergio. Speriamo di aver dato loro davvero una
buona impressione di squadra che accoglie e sa unirsi nel
tentativo di raggiungere un obiettivo comune con determinazione,
nonostante la corsa sia una disciplina sportiva piuttosto individualistica.
L’auspicio è che questa giornata non passi agli archivi e basta. Spero
che dalla prima corsetta rigenerante dopo la grande fatica ci siano
ancora nel cuore di tutti i partecipanti quelle emozioni che
hanno una volta tanto fatto passare in secondo piano risultati e
prestazioni individuali a favore di una bella giornata di sport.
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